Gastronomia Abruzzese
Abruzzo, terra di pasta e pastai famosi nel mondo. Un primato assoluto che si fonda su caratteristiche uniche, offerte dalla natura del territorio (l’acqua purissima delle sorgenti montane, l’impiego di grani selezionati) e dall’esperienza dei pastai abruzzesi, sapienti conoscitori dell’arte di impastare acqua e farina per creare capolavori dal sapore ineguagliabile, ancora oggi seguendo principi artigianali pur disponendo di sofisticate tecnologie.
La pasta abruzzese, fresca o essiccata, si identifica con la cultura e la più viva tradizione regionale, ed è per questo che "lu carrature", ovvero "la chitarra", il rudimentale telaio di legno percorso da fili metallici ben tirati per ricavare i famosi maccheroni carrati "o spaghetti alla chitarra" che dir si voglia, è da sempre un simbolo ben riconoscibile della nostra regione. Regina della dieta mediterranea per le sue equilibrate qualità alimentari e per la sua genuina bontà, la pasta abruzzese vive un momento di magico prestigio in tutto il mondo.
Un privilegio riservato ai frequentatori della terra d’Abruzzo è di poter gustare dovunque nella regione le paste confezionate artigianalmente, ammassate e lavorate sulla "spianatora" (la tavola di legno). Un tripudio di forme e sapori, che a seconda della zona di appartenenza raccontano la storia e le tradizioni di una civiltà. Ne sono testimonianza le ricette di seguito riportate.
La pasta abruzzese, fresca o essiccata, si identifica con la cultura e la più viva tradizione regionale, ed è per questo che "lu carrature", ovvero "la chitarra", il rudimentale telaio di legno percorso da fili metallici ben tirati per ricavare i famosi maccheroni carrati "o spaghetti alla chitarra" che dir si voglia, è da sempre un simbolo ben riconoscibile della nostra regione. Regina della dieta mediterranea per le sue equilibrate qualità alimentari e per la sua genuina bontà, la pasta abruzzese vive un momento di magico prestigio in tutto il mondo.
Un privilegio riservato ai frequentatori della terra d’Abruzzo è di poter gustare dovunque nella regione le paste confezionate artigianalmente, ammassate e lavorate sulla "spianatora" (la tavola di legno). Un tripudio di forme e sapori, che a seconda della zona di appartenenza raccontano la storia e le tradizioni di una civiltà. Ne sono testimonianza le ricette di seguito riportate.
Lu rentrocele
Maccarune a lu rentrocele, piatto tipico dell’area frentana riscoperto verso la fine degli anni Sessanta dallo chef gastronomo Nicola Ranieri a Lanciano. "Lu rentrocele" non è altro che il matterello dentato impiegato per tagliare la sfoglia di pasta, ottenuta dalla lunga lavorazione (circa due ore, come dichiara l’esperto) di semola di grano duro e acqua. Pare che" lu rentrocele", di cui la "chitarra" è una meccanizzazione successiva, sia di origine teramana e che fosse diffuso nel territorio frentano più o meno due secoli fa.
Lo strumento è in legno e tradizione vuole che sia costruito dagli artigiani di Pretoro. I maccheroni ottenuti, dello spessore di una matita, vanno lessati in abbondante acqua per circa venti minuti, scalati e conditi col tradizionale ragù abruzzese di carni miste: muscolo di vitello, muscolo di maiale, salsicce, lingua di vitello, tacchino, coniglio, castrato, pancetta, pollo, agnello, oca, fegatini, tutto in porzioni uguali; per dodici commensali si calcolano sei etti di carne macinata. Si lascia rosolare la carne, con l’aggiunta di peperone fresco, porro, cipolla, due spicchi d’aglio, un pizzico di ginepro, uno di maggiorana, uno di timo, dieci grammi di porcini essiccati e rinvenuti in acqua tiepida, dodici cucchiai di extravergine d’oliva. Ugualmente appetitosi, i "Maccarune a la rentrocele" si condiscono in alternativa con un sugo di peperone dolce rosso, secco e tritata, sfritto in aglio, olio e peperoncino.
Lo strumento è in legno e tradizione vuole che sia costruito dagli artigiani di Pretoro. I maccheroni ottenuti, dello spessore di una matita, vanno lessati in abbondante acqua per circa venti minuti, scalati e conditi col tradizionale ragù abruzzese di carni miste: muscolo di vitello, muscolo di maiale, salsicce, lingua di vitello, tacchino, coniglio, castrato, pancetta, pollo, agnello, oca, fegatini, tutto in porzioni uguali; per dodici commensali si calcolano sei etti di carne macinata. Si lascia rosolare la carne, con l’aggiunta di peperone fresco, porro, cipolla, due spicchi d’aglio, un pizzico di ginepro, uno di maggiorana, uno di timo, dieci grammi di porcini essiccati e rinvenuti in acqua tiepida, dodici cucchiai di extravergine d’oliva. Ugualmente appetitosi, i "Maccarune a la rentrocele" si condiscono in alternativa con un sugo di peperone dolce rosso, secco e tritata, sfritto in aglio, olio e peperoncino.
Pasta alla mugnaia
Un discorso a se meritano i maccheroni alla mugnaia, specialità a base di grano tenero, acqua e sale, a quanto pare destinata all’estinzione per come è realizzata nel basso Sangro, più precisamente a Paglieta, dove tanta abilità e tradizione sono racchiuse esclusivamente nelle braccia di Nicola Di Lallo, figlio di Antonino, mugnaio del posto, a sua volta erudito dai suoi antenati, Florindo e suo nonno Luzio Tartaglia, nato nel 1787. Una tradizione inventata dei mugnai di un tempo, per recuperare le forze alla fine della pesante giornata di lavoro.
La particolarità, e la bontà, di questi maccheroni è nel lungo tempo di lavorazione dell’impasto, che deve risultare umido, morbido, elastico e poroso, caratteristiche fondamentali per tradursi in maccheroni leggeri e facilmente digeribili. La pasta ottenuta si lavora come una matassa di lana, con movimento ritmica e costante. Si uniscono i due capi del cordone di pasta e si lavora circolarmente con l’aiuto di altra farina; mano a mano il filo di pasta si allunga e si assottiglia fino a raggiungere il diametro di un centimetro e la lunghezza di centinaia di metri.
Se i popolari maccheroni alla chitarra rappresentano un piatto tipico di tutto l’Abruzzo, quelli alla mugnaia sono tanto radicati nel territorio da vantare addirittura una doppia tradizione, o paternità come affermano i più fervidi sostenitori delle due scuole di pensiero. A fianco alla tradizione di Paglieta e del Basso Sangro, vi è quella diffusa tra i "molinari" della Vallata dell’Alto Fino, zona un tempo popolata da mugnai che macinavano il frumento nei tipici mulini a palmenti lungo il fiume Fino.
Oggi la tradizione della pasta lavorata con i polpastrelli delle dita, è interpretata dai pastai nell’area prevalentemente compresa fra Elice e Città Sant’Angelo. Semola di grano duro (e un quarto di farina di grano tenero macinato al mulino, secondo alcuni gastronomi), acqua e sale sono gli ingredienti di base dell’impasto lavorato ad arte di questi succulenti spaghetti lunghi e spessi che richiedono condimenti saporiti, come il ragù di carni miste, oppure con ragù di pancetta e guanciale di maiale soffritti in tegame con cipolla tritata, salvia, prezzemolo, salsa di pomodoro, carne di papera, manzo e agnello castrato, con l’aggiunta di peperoncino e abbondante pecorino grattugiato.
La particolarità, e la bontà, di questi maccheroni è nel lungo tempo di lavorazione dell’impasto, che deve risultare umido, morbido, elastico e poroso, caratteristiche fondamentali per tradursi in maccheroni leggeri e facilmente digeribili. La pasta ottenuta si lavora come una matassa di lana, con movimento ritmica e costante. Si uniscono i due capi del cordone di pasta e si lavora circolarmente con l’aiuto di altra farina; mano a mano il filo di pasta si allunga e si assottiglia fino a raggiungere il diametro di un centimetro e la lunghezza di centinaia di metri.
Se i popolari maccheroni alla chitarra rappresentano un piatto tipico di tutto l’Abruzzo, quelli alla mugnaia sono tanto radicati nel territorio da vantare addirittura una doppia tradizione, o paternità come affermano i più fervidi sostenitori delle due scuole di pensiero. A fianco alla tradizione di Paglieta e del Basso Sangro, vi è quella diffusa tra i "molinari" della Vallata dell’Alto Fino, zona un tempo popolata da mugnai che macinavano il frumento nei tipici mulini a palmenti lungo il fiume Fino.
Oggi la tradizione della pasta lavorata con i polpastrelli delle dita, è interpretata dai pastai nell’area prevalentemente compresa fra Elice e Città Sant’Angelo. Semola di grano duro (e un quarto di farina di grano tenero macinato al mulino, secondo alcuni gastronomi), acqua e sale sono gli ingredienti di base dell’impasto lavorato ad arte di questi succulenti spaghetti lunghi e spessi che richiedono condimenti saporiti, come il ragù di carni miste, oppure con ragù di pancetta e guanciale di maiale soffritti in tegame con cipolla tritata, salvia, prezzemolo, salsa di pomodoro, carne di papera, manzo e agnello castrato, con l’aggiunta di peperoncino e abbondante pecorino grattugiato.